Con il termine “free-from” si intendono tutti gli alimenti che sono “senza” qualcosa che potrebbe essere dannoso per la salute.

In termini strettamente nutrizionali, non parliamo di contaminazioni chimiche o microbiologiche: in nutrizione, infatti, un alimento, per essere considerato tale, è sempre “sicuro” e quindi non contaminato né chimicamente né batteriologicamente. Il “senza” si riferisce a sostanze che possono essere normalmente presenti tra gli ingredienti di un prodotto ma che, se assunte in quantità elevate o in particolari condizioni, possono aumentare il rischio di sviluppare alcune malattie. Parliamo quindi, ad esempio, di alimenti “senza sale” in quanto un eccesso di assunzione di sodio (componente del cloruro di sodio, ossia il sale di cucina) aumenta il rischio di ipertensione, oppure di alimenti “senza lattosio” perché questo zucchero è mal tollerato dalle persone che hanno una scarsa attività dell’enzima che è deputato a digerirlo, la lattasi. Quindi il lattosio, se assunto in discrete quantità, non viene digerito e assorbito ma, all’interno dell’intestino, viene fermentato dalla flora microbica provocando gonfiore e a volte dolore addominale.

Fanno parte di questa categoria anche gli alimenti “senza OGM”, perché gli OGM si considerano ancora in una zona di luce ed ombra per quanto riguarda la salute umana essendo ancora poco studiati, e tutti i prodotti “senza ingredienti di origine animale” per i soggetti vegani.

Il mondo degli “alimenti senza” si contrappone a quello degli “alimenti con”, ossia arricchiti di qualche nutriente al fine di favorirne la corretta assunzione in termini di quantità. Entrambe le categorie nascono dall’esigenza del consumatore e dagli sforzi dell’industria alimentare, perché creare un alimento “senza” mantenendone tutte le caratteristiche organolettiche non è così semplice. Ne abbiamo un esempio anche nella cucina casalinga: se ci dimentichiamo di aggiungere il sale ad una ricetta sappiamo che il risultato non sarà altrettanto appetitoso.

Da un punto di vista di benessere, come per tutti gli alimenti anche per quelli “senza” occorre fare delle distinzioni. La prima riguarda la reale necessità di scegliere un alimento di questo tipo.

In termini assoluti, se sono celiaco, l’alimento “senza glutine” non è una scelta ma un obbligo, ma altrimenti? Quando la scelta del “senza” è assolutamente necessaria? Per alcuni nutrienti per cui è riconosciuto un eccesso nell’alimentazione media degli Italiani (ad esempio il sodio come sopra citato), l’alimento “senza” appare un indubbio vantaggio che, però, è proporzionale al contenuto nel resto della dieta. Infatti, se la mia alimentazione è già a basso contenuto di sodio il vantaggio sarà minore.

Importante è anche la frequenza di consumo dell’alimento “senza”: la scelta del “senza” per prodotti consumati in maniera saltuaria è ovviamente meno incisiva sulla qualità della dieta rispetto ai prodotti di consumo giornaliero. Quindi, come sempre, non ci si può limitare a commentare il singolo prodotto ma bisogna vederlo inserito nella propria dieta.

Altra cosa importante sarebbe valutare cosa è stato introdotto al posto dell’ingrediente eliminato per mantenere le caratteristiche di piacevolezza del prodotto finito. Per fare un altro esempio, d’accordo al “senza olio di palma”, però bisognerebbe fosse indicato anche da cosa è stato sostituito per valutare se la sostituzione è stata realmente vantaggiosa.

Quindi, un grazie alle tecnologie alimentari che permettono un miglioramento nutrizionale dei cibi che arrivano sulla nostra tavola, ma come sempre impariamo a scegliere quello che serve a noi, e non quello che è di moda.

Alessandra Bordoni
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari
Università di Bologna